Ho capito soltanto adesso che la storia della mia famiglia è ambientata in montagna.
Lassù i protagonisti, le comparse, gli amici e i nemici hanno creato le condizioni necessarie affinché nascesse un figlio quasi per caso, per inerzia ed entropia. Lassù come avverbio di ipotesi vagabonda, lassù è una tendenza, un modo di chiudere gli occhi e immaginarsi la dolce corrispondenza tra elementi naturali.
Lassù c’è la libertà tolta a mia madre, la fuga di mio padre dalla sensibilità, la competizione dei nonni R e la repressione dei nonni B. Amore è stato fatto? Si, Amore era decisamente fattissimo.
Lassù qualcosa si è creato per rompersi. I frammenti della mia anima hanno una sola possibilità di raggrupparsi in armonia, un solo paesaggio del mondo può fare da sfondo: la montagna.
Da solo sono stato ovunque tranne che lì.
Il nucleo, il fulcro, il centro di gravità permanente. La cucitura tra le due parti di me, complementari come la salita e la discesa di uno stesso sentiero, la vetta e il piede di una montagna.
Chissà. Magari è lì che finirò di scrivere un romanzo. Quando vedo una montagna in lontananza vorrei sprofondare, volare, dissolvermi nel vento, sdraiarmi a terra improvvisamente, di nuca, per aprire la scatola cranica e far defluire la materia grigia sottoforma di cascata intelligente.
Guardare in alto. Alzare gli occhi al cielo come alla cima di una montagna. Lassù.
Lassù mi sento quando scrivo.
In un recente pomeriggio soleggiato ho preso appunti senza sapere. Ho usato la parola lassù senza sapere. Ho alzato gli occhi senza sapere. Ora è tutto più chiaro:
Almeno un aereo tutti i giorni
traccia un solco bianco nel cielo
per me
che alzo la testa in segno di libertà
forse in cerca di voluttà.
Almeno un passeggero tutti i giorni
guarda in basso mentre
io guardo in alto, siamo
entrambi un po’ malinconici
perché le terra continua a girare
a prescindere da ciò che facciamo.
Con il sole, l’azzurro e gli occhiali scuri
riconosco i lineamenti del grande mezzo
fino a provare un senso di vertigine
del tutto razionale
forse
pensando che un essere umano è lì
a pilotare 400 tonnellate di agglomerato
umano sospeso nel vuoto.
Mi rendo conto di osservare tutto questo
soltanto perché espressione di un viaggio
per il quale io sarei potuto partire,
osservo di fatto un’ipotesi di realtà
per me stesso.
Mi si agita l’anima pensando a chi è lassù
per merito esclusivo, bisogna riconoscerlo,
del passeggero casuale.
Almeno uno di loro tutti i giorni
partirà soltanto per il gusto di farlo
mica per lavoro, affari, amore o amicizia
no
solo per il gusto di essere un passeggero
tra tanti
ma che in quel momento incarna
tutti i pensieri vagabondi della città.